Quante volte sentiamo dire “mi sono vaccinato contro l’influenza, ma mi sono ammalato lo stesso…” In questi casi, il raffreddore o la tracheite non sono causati dal virus influenzale, da cui siamo protetti se abbiamo fatto il vaccino, ma da altri virus para-influenzali che circolano in contempornea all’influenza ogni inverno.
E che oggi sono sostanzialmente quattro e sono tutti coronavirus (le loro sigle sono HKU; NL63; OC43; 229E). «La natura ha molta fantasia nel generare forme di vita nuove – premette Fausto Baldanti, responsabile del laboratorio di Virologia molecolare dell’Università di Pavia e del Policlinico San Matteo di Pavia -. Come il serbatoio dell’influenza sono gli uccelli acquatici, il serbatoio dei coronavirus sono i pipistrelli, che sono un quarto delle specie dei mammiferi.
In questa gamma enorme di varianti genetiche, il coronavirus può incontrare altri “cugini” di altre specie e da qui generarsi una nuova variante che può infettare l’uomo (salto di specie, ndr).
Affinchè l’infezione possa diventare “efficiente” nella trasmissione da uomo a uomo deve adattarsi alle caratteristiche umane, e quindi mutare». Mutazioni che possono prendere due strade: il virus può incrementare la propria patogenicità oppure diminuirla. «Dal punto di vista evoluzionistico un virus ha successo se è poco patogeno, altrimenti se uccide l’ospite riesce a diffondersi di meno – precisa Baldanti – Il nuovo coronavirus Covid-19 sembra avere una capacità di diffusione piuttosto spiccata, ma una bassa letalità, ormai documentata sui quasi 90mila casi accertati nel mondo e una letalità del 2% circa. Va detto, comunque, che fino a poco più di un mese fa questo virus era sconosciuto agli scienziati, che ora si trovano, dopo avere ricostruito il suo identikit, anche a definire il suo comportamento».
Teoricamente, sulla base di queste caratteristiche, il Covid-19 potrebbe dunque diventare il quinto coronavirus con cui convivere e che circolerà in futuro come i quattro citati prima, allargando la famiglia dei virus para-influenzali. Ma che, a differenza di quelli già noti, potrà con molta probabilità essere contrastato con i vaccini in fase di studio. E poi c’è il tema della “velocità” di diffusione.
«Essendo nuovo, non esiste un’immunità di gregge come per altri virus, quindi ora si sta diffondendo molto facilmente – continua Baldanti -. Al momento non sappiamo se coloro che sono venuti a contatto con il nuovo virus, manterranno una memoria immunologica, tale da impedire la diffusione successiva. In altri termini, è presto per dire se si creerà l’immunità di gregge a seguito di questa infezione e prevederne la permanenza o la sua ricomparsa l’anno prossimo».
Di fatto, i focolai di malattie sono un po’ come gli incendi: il virus è la fiamma e le persone sensibili sono il carburante. Un focolaio-incendio si spegne quando non trova più persone suscettibili di infezione. «Da un punto di vista epidemiologico il picco delle infezioni è molto determinato dall’immunità di gregge perché un virus comincia a decrescere quando non ha più soggetti naive (nuovi) da infettare» spiega l’esperto.
Ma di fronte al nuovo coronavirus è ancora difficile dire se e come potrebbe auto-spegnersi. Bisogna prima conoscere esattamente chi è suscettibile al virus. Se ci sono persone con un’immunità superiore ad altre, questo potrebbe limitare la sua portata e, una volta che l’epidemia inizia a estinguersi naturalmente, le misure sanitarie potrebbero ”dargli il colpo di grazia” con quarantene e screening. Cosa che è stata fatta per contenere la catena di trasmissione.
Ma le misure di isolamento su una scala così vasta adottate in Cina su quasi 60 milioni di persone è un aspetto dell’approccio all’infezione che non è mai stato impiegato nella storia dell’umanità.
Non sappiamo ancora come finirà questa epidemia, se scomparirà del tutto, se diventerà un virus stagionale in Cina o, come l’influenza, viaggerà per tutto il globo. Di certo, possiamo considerarla una “prova generale” per organizzarci al meglio nel caso dovessimo mai fronteggiare pandemie ben più aggressive.
FAUSTO BALDANTI, Responsabile del laboratorio di Virologia molecolare dell’Università di Pavia e del Policlinico San Matteo di Pavia